razavi1_ Mahmut Serdar AlakusAnadolu Agency via Getty Images_ Mahmut Serdar Alakus/Anadolu Agency via Getty Images

La politica sociale inizia a casa

NEW YORK – L’economia politica ha fatto enormi passi avanti. Molti personaggi e istituzioni che per lungo tempo hanno sostenuto il neoliberismo riconoscono sempre di più i fallimenti dei mercati e ammettono che gli stati potrebbero dare un contributo importante per migliorare i risultati socioeconomici. Persino il Fondo monetario internazionale oggi parla di “macro-criticità” della protezione sociale, della necessità di una tassazione progressiva e, potenzialmente, di trasferimenti universali.  

Ma il dibattito, incentrato quasi esclusivamente sul coordinamento tra stato e mercato, resta troppo limitato per individuare soluzioni efficaci. Per riuscirvi, come evidenzia un nuovo rapporto di UN Women, bisogna anche considerare una serie di fattori sociali, in particolare il ruolo delle famiglie e l’uguaglianza di genere.     

Questi due aspetti sono strettamente collegati dal momento che le disparità di genere sono  pesantemente rafforzate da alcune dinamiche familiari, diversamente da come avviene, ad esempio, nel caso delle disuguaglianze razziali. Il problema è aggravato dal fatto che una serie di presupposti ormai superati su famiglie e dinamiche di genere continua a influenzare le politiche sociali ed economiche. 

Allo stato attuale, soltanto un terzo circa della totalità delle famiglie rispecchia la struttura di famiglia “ideale” (coppia di genitori con figli) su cui generalmente si basano tali politiche. Nei due terzi che se ne discostano, un’ampia quota si riferisce alle famiglie allargate comprendenti, ad esempio, zie, zii o nonni. Circa un quarto delle famiglie, invece, è rappresentato da genitori o persone singoli.  

Inoltre, mentre il matrimonio continua a essere una pratica pressoché universale in alcune parti del mondo, in altre sta diventando sempre meno comune, tanto che persino coppie di lunga data spesso scelgono di convivere prima del matrimonio, o di non sposarsi affatto. In alcuni paesi dell’America latina, dell’Africa meridionale e dell’Europa, fino a tre quarti delle donne di età compresa tra 25 e 29 anni che hanno una relazione stabile convivono con il proprio partner.

Tutto ciò ha importanti implicazioni sul piano politico. Data la loro maggiore longevità, le donne con più di sessant’anni hanno una probabilità doppia rispetto agli uomini della stessa fascia di età di essere sole, spesso vivendo solo con una misera pensione e/o qualche piccolo risparmio. 

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Fra l’altro, le famiglie monoparentali – dove in oltre tre quarti dei casi il genitore singolo è la madre – hanno in media il doppio delle probabilità di vivere in condizioni di povertà rispetto alle famiglie biparentali. I genitori singoli spesso faticano a conciliare un lavoro retribuito con le  responsabilità familiari.   

Ma anche nelle famiglie biparentali e con un reddito più elevato, per le donne riuscire a destreggiarsi tra un lavoro retribuito e l’assistenza non retribuita rappresenta una sfida importante. A livello globale, le donne forniscono mediamente oltre il 76% dell’assistenza non retribuita, tre volte più degli uomini.

Ciò riduce in modo significativo l’accesso delle donne a un reddito indipendente. Soltanto la metà delle donne sposate o conviventi di età compresa tra 25 e 54 anni ha un’occupazione, e mentre la presenza di figli piccoli incide negativamente sui tassi di occupazione delle donne, nel caso degli uomini fa esattamente il contrario.

Un reddito indipendente rafforza il potere contrattuale delle donne, consente loro di uscire da relazioni vessanti e offre una sicurezza durante la vecchiaia. In più, la percentuale di donne che hanno un reddito proprio è inversamente correlata a quella delle famiglie che vivono in condizioni di povertà. Come osserva il sociologo danese Gøsta Esping-Andersen, “l’unica soluzione davvero efficace contro la povertà è garantire l’occupazione alle madri”.    

Per favorire l’indipendenza economica delle donne, massima priorità va data agli investimenti nei sistemi di cura, come quello della cura e dell’educazione nella prima infanzia (CEPI). Tali interventi sono particolarmente urgenti nei paesi in via di sviluppo, dove il divario tra l’offerta di questi servizi e la domanda è molto ampio, a causa di un numero di operatori del settore relativamente esiguo.  

Oltre a mettere le donne in condizioni di cogliere opportunità economiche, un’assistenza all’infanzia accessibile e di buona qualità contribuisce a creare posti di lavoro (nel settore della cura) e a costruire capitale umano (soprattutto tra i bambini che ne beneficiano). Per questo motivo – e tenendo conto dell’impegno temporale che il lavoro retribuito comporta per tutti i generi – tale investimento resta necessario anche qualora il lavoro non retribuito sia ripartito in maniera più equa all’interno delle famiglie.    

Una seconda priorità fondamentale riguarda la garanzia di una protezione sociale completa, che comprenda congedi retribuiti – che consentono ai genitori di prendersi cura dei figli senza dover uscire dal mercato del lavoro – e sostegno al reddito. Le agevolazioni familiari, come le indennità per la custodia dei figli, attenuano il maggior rischio di povertà che accompagna il compito di allevarli. I genitori soli dovrebbero ricevere un aiuto supplementare.  

Nel frattempo, un sistema pensionistico universale può sostenere le donne – che tendenzialmente hanno meno risparmi e beni degli uomini, ma vivono più a lungo – nella vecchiaia. Un altro aiuto potrebbe arrivare dalla creazione di servizi di cura di lungo periodo accessibili a tutti, e da una riforma del regime che regola i rapporti patrimoniali tra coniugi. Infine, per tutelare il diritto delle donne alla comunione dei beni, ai sussidi sociali e alla custodia dei figli, è necessario che le leggi e le politiche sociali sulla famiglia riconoscano la convivenza e non soltanto il matrimonio.     

Elaborando un pacchetto di misure imperniato sui bisogni delle famiglie contemporanee, i leader politici possono promuovere i diritti delle donne, lo sviluppo dei bambini e l’occupazione e, di conseguenza, contribuire ad alimentare il dinamismo dell’economia e a ridurre la povertà.  

Traduzione di Federica Frasca

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