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Le illusioni che spingono al rialzo gli indici azionari Usa

NEW HAVEN – I mercati speculativi sono sempre stati vulnerabili all’illusione. Ma vedere la follia nei mercati non dà alcun vantaggio chiaro nel prevedere gli esiti, perché i cambiamenti della forza dell’illusione sono difficili da predire.

Negli Stati Uniti sono entrate in gioco nel campo dei mercati finanziari due importanti illusioni. Una è la percezione premurosamente coltivata che il presidente eletto Donald Trump sia un genio del business in grado di applicare le proprie capacità di fare accordi allo scopo di far tornare grande l’America. L’altra è un’illusione naturale: l’avvicinarsi del Dow Jones ai 20.000 punti. Il Dow Jones Industrial Average sfiora gli oltre 19.000 punti da novembre, e si sprecano le numerose notizie che parlano del flirt con la soglia dei 20.000 punti – che potrebbe essere superata nel momento in cui sarà pubblicato questo articolo. Qualunque cosa accada, i 20.000 punti del Dow Jones avranno un impatto psicologico sui mercati.

Trump non è mai stato chiaro e coerente su come si muoverà da presidente. Gli sgravi fiscali sono chiaramente sulla sua agenda, e lo stimolo potrebbe portare a una risalita degli indici azionari. Una flessione delle imposte sulle imprese dovrebbe tradursi in un rincaro degli indici borsistici, mentre i tagli relativi all’imposta sui redditi personali potrebbero tendere a trascinare a al rialzo i prezzi immobiliari (eventualmente controbilanciato da altri modifiche del sistema tributario).

Ma non sono solo le modifiche fiscali proposte da Trump a influire sulla psicologia dei mercati. Gli Usa non hanno mai avuto un presidente come lui. Non è solo un attore, come Ronald Reagan; è anche uno scrittore e un oratore motivazionale, un noto marchio in campo immobiliare e un abile negoziatore. Se mai rivelasse informazioni finanziarie sul proprio conto, o se la sua famiglia riuscisse a utilizzare la sua influenza come presidente per migliorare i propri profitti, potrebbe persino rivelarsi un businessman di successo.

La figura più simile a Trump che troviamo tra gli ex presidenti americani potrebbe essere Calvin Coolidge, che seguì la via dei tagli alle tasse ed era estremamente a favore del business e delle imprese. Coolidge dichiarò infatti in un famoso discorso: “il business principale del popolo americano è il business”, mentre il suo segretario del Tesoro, Andrew Mellon, uno degli uomini più ricchi d’America, sosteneva gli sgravi fiscali per i ricchi che si sarebbero trasformati in benefici per i meno fortunati.

L’economia americana durante l’amministrazione Coolidge fu molto prospera, ma il boom finì tristemente nel 1929, non appena uscì di scena Coolidge, con il crollo dei mercati azionari e l’inizio della Grande Depressione. Negli anni 30 si rammentavano gli anni 20 con una certa malinconia, ma anche come un periodo di inganni e imbrogli.

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Ovviamente, la storia non è mai il destino, e Coolidge è solo un’osservazione – e non una solida base per una previsione. Inoltre, diversamente da Trump, sia Coolidge che Mellon mostravano un temperamento assennato e misurato.

Ma aggiungiamo all’effetto Trump tutta l’attenzione prestata ai 20.000 punti del Dow Jones, e abbiamo tutti gli elementi di una potente illusione. Il 10 novembre 2016, due giorni dopo l’elezione di Donald J. Trump, il Dow Jones average tocca un nuovo massimo storico – dopodiché registra altri 16 record giornalieri, tutti declamati dai mezzi d’informazione.

Ha tutta l’aria di una grande notizia per Trump. Di fatto, però, il Dow Jones aveva già segnato nove record prima dell’elezione, quando i pronostici davano per scontata la vittoria di Hillary Clinton. In termini nominali, il Dow Jones è in rialzo del 70% dal picco registrato nel gennaio 2000. Il 29 novembre 2016 fu annunciato che l’indice S&P CoreLogic Case-Shiller National Home Price Index  (di cui sono co-fondatore insieme al mio stimato collega Karl E. Case, scomparso lo scorso luglio) aveva raggiunto un massimo storico nel precedente settembre. L’ultimo record era stato segnato oltre dieci anni prima, nel luglio 2006.

Ma questi numeri sono illusori. Gli Usa hanno una politica nazionale di inflazione generale. La Federal Reserve americana ha fissato un “obiettivo” di inflazione del 2% in termini di deflatore dei consumi personali. Questo significa che tutti prezzi dovrebbero tendenzialmente risalire all’incirca del 2% l’anno, o del 22% per decade.

Il Dow Jones è in rialzo solo del 19% in termini reali (depurati dell’inflazione) dal 2000. Un incremento del 19% in 17 anni è un dato deludente, e l’indice National Home Price Index creato da me e da Case è ancora inferiore del 16% rispetto al picco del 2006 in termini reali. Ma quasi nessuno si focalizza su questi dati corretti in base all’inflazione.

La Fed, come altre banche centrali del mondo, sta costantemente svalutando il dollaro, allo scopo di creare inflazione. Facendo una ricerca con Google Ngrams tra i libri emerge che l’uso del termine “inflation-targeting” ha iniziato a crescere in modo esponenziale all’inizio degli anni 90, quando il target era solitamente ben al di sotto dell’inflazione attuale. L’idea che ora puntiamo a un’inflazione moderata positiva – una “stabilità dei prezzi”, e non un’inflazione pari a zero – sembra aver iniziato a delinearsi nei circoli politici negli anni della recessione 1990-1991. Lawrence Summerssosteneva che il pubblico avesse una resistenza “irrazionale” alla contrazione dei salari nominali che toccherebbe ad alcuni in caso di regime di inflazione zero.

Molte persone sembrano non comprendere che l’inflazione è come un cambiamento dell’unità di misura. Sfortunatamente, sebbene il target di inflazione al 2% sia in gran parte una “politica del tutto-bene”, le persone tendono a trarre troppa ispirazione da questo dato. Irving Fisher definì questa fissazione sulla crescita dei prezzi nominali l’“illusione monetaria” nell’omonimo libro del 1928.

Ciò non significa che fissiamo nuovi record sui mercati speculativi ogni giorno. I movimenti degli indici azionari tendono a ravvicinare quelle che gli economisti chiamano “random walks”, ossia “passeggiate aleatorie”, laddove i prezzi riflettono esigui shock giornalieri che potrebbero ugualmente essere positivi o negativi. E i “random walks” tendono ad attraversare lunghi periodi quando sono ben al di sotto del picco precedente; la possibilità di fissare presto un record è trascurabile, considerato quanto dovrebbero aumentare gli indici. Ma una volta che effettivamente raggiungono un nuovo picco storico, è più probabile che gli indici segnino altri record – magari non nei giorni successivi, ma comunque entro breve tempo.

Negli Usa, la combinazione di Trump e una sequenza di nuovi record azionari – chiamiamoli “Trump al quadrato” – sostiene l’illusione alla base dell’attuale ottimismo dei mercati. Per coloro che non sono troppo stressati per aver preso posizioni estreme nei mercati, sarà interessante (se non redditizio) osservare come l’illusione si tramuti in una percezione, una percezione che implica livelli molto diversi di mercato speculativo.

Traduzione di Simona Polverino

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