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L'area Asia-Pacifico secondo Shinzo Abe

CLAREMONT, CALIFORNIA – È passato più di un anno da quando Shinzo Abe, il primo ministro più longevo del Giappone, si è dimesso a causa di una malattia. Il suo successore, Yoshihide Suga, è arrivato e se n’è andato. Ma le innovazioni istituzionali guidate da Abe, vale a dire l’Accordo globale e progressivo per il partenariato transpacifico (CPTPP) e il Dialogo sulla sicurezza del cosiddetto “Quad”, il Quadrilateral Security Dialogue tra India, Giappone, Australia e Stati Uniti, sembrano destinati a plasmare il panorama geopolitico dell’Asia per molto tempo a venire.

Abe si è adoperato instancabilmente per realizzare il CPTPP, dopo che Donald Trump aveva di fatto silurato il patto precedente, il Trans-Pacific Partnership (TPP), firmando l’uscita degli Stati Uniti. L’accordo ripristinato da Abe include attualmente 11 paesi dell’area Asia-Pacifico, con un output economico combinato di quasi 14 mila miliardi di dollari.

Inoltre, i ranghi del CPTPP sono destinati a crescere. Il Regno Unito ha formalmente chiesto di aderire al patto lo scorso febbraio. Lo stesso ha fatto la Cina a settembre, in un apparente sforzo per evidenziare il proprio impegno nei confronti del libero scambio e per distinguersi ulteriormente dagli Stati Uniti. Taiwan ha presentato domanda sei giorni dopo.

Se si unirà al CPTPP, come ora sembra probabile, il Regno Unito aggiungerà 2,7 mila miliardi di dollari, ovvero circa il 20%, all’output economico totale del blocco. Trattare con le richieste di Cina e Taiwan sarà più complicato. Taiwan è tecnicamente più qualificata per aderire rispetto alla Cina, ma la decisione di ammettere Taiwan e respingere la Cina potrebbe alimentare tensioni e persino spingere al conflitto, una prospettiva che i firmatari del CPTPP preferirebbero evitare.

Ma, da un punto di vista strategico, è nei confronti degli Usa che il CPTPP farà la differenza maggiore. Anche se Trump è fuori dalla Casa Bianca, gli Stati Uniti non hanno scosso il protezionismo di Trump e il presidente Joe Biden non ha dimostrato il coraggio politico di aderire al patto. Eppure, il CPTPP è parte integrante del successo degli sforzi degli Stati Uniti di contrastare l’influenza economica della Cina in Asia. Alla fine, Biden dovrà riconoscerlo. E quando lo farà, dovrà ringraziare Abe per l’esistenza di un accordo di libero scambio a cui gli Stati Uniti potranno aderire.

L’eredità di Abe è stata ancora più consequenziale e lungimirante nell’arena della sicurezza. Ha proposto il Quad come forum di sicurezza regionale a quattro tra Australia, India, Giappone e Stati Uniti nel 2007, come primo incarico in veste di primo ministro del Giappone. Sebbene il Quad sia stato in gran parte inattivo nel decennio successivo, le parti hanno concordato di riattivarlo nel 2017, soprattutto grazie alla sollecitazione di Abe e alla crescente assertività della Cina.

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L’amministrazione Biden ora considera il Quad una componente fondamentale della strategia per tenere sotto controllo la Cina. A settembre i leader del gruppo si sono incontrati per un vertice alla Casa Bianca, un incontro che gli storici futuri probabilmente indicheranno come un momento cruciale nella rivalità strategica sino-americana.

Ma il Quad è molto più che simbolismo diplomatico. Sta infatti rafforzando le sue capacità militari congiunte. L’anno scorso ha tenuto la sua prima esercitazione navale congiunta, Malabar 2020, al largo della costa sud-orientale dell’India. Seguì ad agosto Malabar 2021, tenutasi al largo della costa di Guam.

Data la sua leadership nel forgiare il CPTPP e il Quad, Abe potrebbe essere considerato un falco cinese impenitente, deciso al contenimento. Ma questa valutazione trascura il terzo pilastro della strategia geopolitica di Abe: l’impegno diretto con la Cina.

Infatti, anche se ha promosso attivamente il CPTPP e il Quad, Abe ha garantito che le relazioni del Giappone con la Cina rimanessero stabili e cooperative. È andato in visita a Pechino nell’ottobre 2018 e ha invitato il presidente cinese Xi Jinping a visitare il Giappone nell’aprile 2020, anche se quel piano è deragliato a causa dalla pandemia di Covid-19.

Alla fine, Abe era un realista assoluto quando si trattava della Cina. Sapeva che l’impegno bilaterale era vitale per allentare le tensioni e mitigare i rischi. Ma per garantire la pace e la prosperità in Giappone, tale impegno doveva essere integrato da solide alleanze, sul piano economico e della sicurezza, con altre grandi potenze, in particolare con gli Stati Uniti e l’India. Solo in questo caso la Cina avrebbe preso sul serio il Giappone, trattandolo come un partner alla pari nell’Asia orientale.

Oggi, il terzo pilastro della strategia cinese di Abe sembra essere crollato. L’amministrazione Biden ha convinto Suga a intensificare gli impegni di sicurezza del Giappone con modalità che i governanti cinesi considerano ostili, portando così il rapporto sino-giapponese a toccare nuovi minimi.

Fortunatamente, il successore di Suga, il primo ministro Fumio Kishida, potrebbe avere più spazio di manovra. Grazie alla lungimiranza strategica di Abe, il Giappone si trova ora in una posizione geopolitica più forte della Cina. In effetti, la Cina ha bisogno del Giappone più di quanto il Giappone abbia bisogno della Cina, perché la Cina deve mantenere un rapporto concreto con il Giappone se intende rendere vana la strategia americana di decoupling, ovvero di disaccoppiamento tra Stati Uniti e Cina, e di contenimento della sicurezza. Quindi, se le tensioni iniziassero a diminuire, la Cina potrebbe rivolgersi al Giappone nel tentativo di ripristinare i rapporti. E un’iniziativa di questo genere non farebbe che giovare a tutta l’Asia.
 

Traduzione di Simona Polverino

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