gates10_john keatley_hedegaard gates John Keatley 

Non c’è tempo da perdere

Questo mese esce il nuovo libro di Bill Gates intitolato Clima: Come evitare un disastro: Le soluzioni di oggi, le sfide di domani (La Nave di Teseo, 2021).

Connie Hedegaard: Vorrei iniziare con una confessione: per anni ho pensato che lei non fosse particolarmente interessato al cambiamento climatico. Ho ancora vivo il ricordo di una sessione a porte chiuse tenutasi a Davos alcuni anni fa. A un certo punto la discussione si focalizzò sul clima, anziché su altri aspetti della sostenibilità, e lei uscì dalla sala.

Oggi, invece, lancia un forte e accorato appello per un’azione urgente a favore del clima. Il suo libro comincia con la descrizione di questo viaggio. All’inizio, dice, era “difficile accettare che fintantoché le attività degli esseri umani avessero continuato a produrre gas serra, a prescindere dalle quantità, le temperature sarebbero continuate ad aumentare”. È stato solo dopo essersi rivolto a un gruppo di scienziati “ripetute volte con altre domande” che alla fine “il messaggio è arrivato”. A cosa attribuisce la sua resistenza iniziale, e come può la sua esperienza essere usata per coinvolgere altre persone?

Bill Gates: Il mondo oggi è in una situazione ben diversa rispetto a quando ho iniziato a studiare il cambiamento climatico. Sappiamo più cose e abbiamo raggiunto un maggior consenso sul problema. Per molte persone, però, è ancora difficile accettare che la sola riduzione delle emissioni, senza puntare a un azzeramento totale, non basta. È anche difficile accettare la mole di innovazione che sarà necessaria per raggiungere lo zero – in altre parole, riconfigurare totalmente il settore dell’energia, la più grande industria al mondo. Nel libro, spiego le ragioni che hanno persuaso me e che spero possano persuadere anche altri. Solleciterei i difensori del clima a continuare a perorare la causa delle zero emissioni e della loro riduzione attraverso una modalità che ci guidi in quella direzione.

CH: Dall’analogia della vasca da bagno all’allegoria del pesce, lei dedica grande attenzione a rendere concetti astratti o dati complessi più concreti e accessibili. Pensa che questa strategia sia la chiave per far cambiare idea a coloro che, malgrado tutte le scienze e i dati, sembrano ancora credere che possiamo tranquillamente continuare con la solita routine? Sono stati approcci simili ad aiutarla nel suo impegno a spingere le frontiere della tecnologia alla Microsoft o a promuovere la salute e lo sviluppo globali alla Gates Foundation?

BG: Sebbene il libro non si rivolga specificamente agli scettici del clima, certamente spero che possa convincerli della necessità di investire in modo serio nell’energia pulita. I paesi che più si adopereranno per coltivare l’innovazione in quest’ambito ospiteranno la prossima generazione di aziende innovative, insieme a tutti i posti di lavoro e le attività economiche che le accompagnano. Ecco perché questi investimenti sono la cosa più intelligente da fare, anche laddove non si condivida la tesi inoppugnabile che gli esseri umani stanno causando dei cambiamenti nel clima che avranno conseguenze catastrofiche se non controllati.

CH: La pandemia di Covid-19 ha non soltanto evidenziato i costi che comporta ignorare la scienza, bensì anche dimostrato che cambiare i comportamenti in modo rapido e su vasta scala è possibile, e che i leader che si assumono la responsabilità di affrontare i problemi riescono a ottenere rispetto. Tuttavia, come lei sottolinea, essa ci ha insegnato un’altra cosa fondamentale: la riduzione relativamente esigua (10%) delle emissioni di gas serra prodottasi in seguito ai vari lockdown nel mondo indica che cambiare le abitudini, come volare o guidare meno, non è assolutamente sufficiente. Ci sono altre lezioni che abbiamo imparato durante la pandemia che riguardano il cambiamento climatico? Come possiamo applicarle al meglio nell’azione per il clima?

BG: Una di esse è il risvolto dell’idea che volare o guidare meno non basti: c’è bisogno di tanta innovazione per far sì che la gente possa volare, guidare e comunque partecipare all’economia moderna senza causare emissioni. Si tratta, in realtà, di una sfida ancora più impegnativa della produzione e distribuzione dei vaccini anti-Covid (che è la maggiore campagna di salute pubblica di sempre).

Ma essa richiederà la stessa stretta collaborazione tra i governi a tutti i livelli, e anche con il settore privato. E proprio come tutti noi adesso dobbiamo fare la nostra parte indossando le mascherine e rispettando il distanziamento, le persone devono contribuire anche alla riduzione delle emissioni. Magari sostenendo politiche che mirano ad accelerare la transizione alla neutralità climatica, o magari riducendo il Green Premium tramite l’acquisto di prodotti a basse o zero emissioni di carbonio, come le automobili elettriche e gli hamburger vegetali. Ciò svilupperà la concorrenza in questi settori e, alla fine, renderà più economico essere verdi.

CH: Lei sostiene che affrontare i cambiamenti climatici, come porre fine alla pandemia, dipende in larga misura dalla scienza e dall’innovazione. Nel complesso, è “ottimista sul fatto che possiamo inventare [gli strumenti di cui abbiamo bisogno], distribuirli e, se agiremo in modo abbastanza rapido, evitare una catastrofe climatica”. Quali esperienze o lezioni hanno instillato in lei questa convinzione?

BG: Sono stato testimone diretto di come gli investimenti in ricerca e sviluppo possano cambiare il mondo. La ricerca sponsorizzata dal governo statunitense e dalle aziende americane ha reso possibili i microprocessori e Internet, che hanno liberato una quantità straordinaria di energia imprenditoriale che a sua volta ha portato alla creazione dell’industria dei personal computer. Allo stesso modo, l’impegno del governo Usa a mappare il genoma umano ha consentito di ottenere risultati importanti nella cura del cancro e di altre malattie mortali.

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Riguardo all’azzeramento delle emissioni, sto vedendo un lavoro eccezionale. Breakthrough Energy Ventures, il fondo privato da me creato insieme ad altri partner, ha investito in più di una ventina di aziende che stanno sviluppando metodi a basso o zero impatto ambientale per produrre cemento e acciaio, generare e stoccare grandi quantità di energia elettrica pulita, coltivare piante e allevare animali, trasportare persone e merci in tutto il mondo, e riscaldare e rinfrescare i nostri edifici. Molte di queste idee finiranno nel nulla, ma quelle che daranno risultati potrebbero cambiare il mondo.

CH: Come lei osserva, però, “l’innovazione non riguarda solo lo sviluppo di nuovi strumenti, bensì anche lo sviluppo di nuove politiche che ci consentano di dimostrare e distribuire tali invenzioni sul mercato il più rapidamente possibile”. L’Unione europea (e ora anche la Cina) ha cominciato a lavorare all’innovazione delle politiche.

Nel tentativo di correggere un sistema di incentivi imperfetto che omette di considerare quelli che lei chiama “Green Premium”, molti paesi europei hanno introdotto dei meccanismi per tassare le emissioni di CO2, lo spreco di risorse e l’inquinamento. Queste politiche stanno modificando il sistema di incentivi in maniera efficace? Un meccanismo di adeguamento del carbonio alla frontiera contribuirebbe a favorire il progresso?

BG: Dare un prezzo all’anidride carbonica è una politica che farà la differenza, ma nell’ambito di una approccio più generale dove l’obiettivo è quello di aumentare sia l’offerta che la domanda di soluzioni innovative nell’ambito dell’energia pulita. Nel libro menziono una vasta gamma di altre idee. Ad esempio, una cosa che i governi possono fare per ampliare l’offerta di innovazione è aumentare significativamente i fondi destinati alla ricerca e sviluppo nel campo dell’energia pulita (io raccomando di quintuplicarli). Sul fronte della domanda, oltre a un prezzo per l’anidride carbonica, si può pensare, ad esempio, a degli standard per stabilire quanta elettricità o quanto carburante debbano provenire da fonti prive di carbonio.

Abbiamo bisogno d’innovazione in ambito politico esattamente come in quello tecnologico. Non è la prima volta che vediamo unirsi politica e tecnologia per risolvere grandi problemi. Come documento nel libro, l’inquinamento atmosferico è un grande esempio; il Clean Air Act, la legge Usa sull’aria pulita, ha ottenuto grandi risultati per quanto riguarda l’eliminazione dei gas tossici dall’atmosfera. Altre soluzioni politiche straordinariamente efficaci negli Stati Uniti riguardano l’elettrificazione rurale, l’aumento della sicurezza energetica e il rilancio dell’economia dopo la Grande Recessione del 2008. Ora dobbiamo focalizzare il QI politico e tecnologico mondiale sull’eliminazione delle emissioni. Il mio team a Breakthrough Energy, la rete di iniziative che ho fondato per accelerare la transizione verso l’energia pulita, è impegnato a sviluppare e a sostenere politiche coraggiose volte a realizzare gli obiettivi climatici nel mondo.

CH: Lei sottolinea che, per ridurre le emissioni, i governi hanno spesso tentato di utilizzare norme già adottate per risolvere altri problemi – un approccio simile al tentativo di “creare intelligenza artificiale usando un computer centrale degli anni sessanta”.

Ma introdurre nuove leggi importanti è difficile, soprattutto perché i produttori storici si oppongono alla fissazione di standard più elevati e ad altri cambiamenti costosi. Essendosi trovato sul lato “normato” dell’equazione normativa, quali soluzioni o spunti intravede per risolvere il problema delle politiche in ritardo rispetto ai tempi?

BG: Per risolvere questo problema c’è bisogno di un’azione da parte dei governi – stiamo parlando di guidare la transizione dell’intera rete energetica mondiale a una velocità senza precedenti. Gli investimenti del settore privato da soli non riusciranno nell’impresa a meno che non vi siano le condizioni di mercato che premiano l’innovazione e consentono alle tecnologie pulite di competere; per creare un ambiente del genere occorre l’aiuto del governo. Pertanto, c’è bisogno di un intervento a livello statale che sia mirato, vigoroso e affidabile.

Questo è anche il motivo per cui parlo di innovazione non solo in ambito tecnologico, ma anche politico e di mercato. Abbiamo bisogno di policymaker in grado di pensare creativamente ai giusti modi per stimolare l’innovazione sul piano dell’energia, creare condizioni paritarie e accelerare la transizione energetica. Il mio team a Breakthrough Energy sta collaborando con i leader di vari governi per sviluppare e sostenere le politiche necessarie per raggiungere le zero emissioni nette.

CH: Al di là della politica, lei suggerisce che i governi debbano avere più coraggio quando investono in ricerca e sviluppo nell’ambito del clima. Quale ruolo dovrebbero svolgere le università in questo caso, sia in termini di ricerca che nel trasmettere le informazioni necessarie per definire le politiche?

BG: Le università offrono un ambiente che promuove idee, dove vengono sviluppate le tecnologie verdi. La scienza, la ricerca e l’ingegneria studiate nelle università di tutto il mondo sono tra i fattori più importanti per aiutarci a raggiungere le zero emissioni nette. Naturalmente, le scoperte devono uscire dal contesto universitario, informare le nuove politiche e definire il mercato. Alcune istituzioni accademiche stanno compiendo uno sforzo concertato per aiutare i loro docenti a comunicare in maniera più efficace, rendere la loro ricerca più rilevante per i policymaker e proiettare le loro scoperte tecnologiche verso le aziende e i mercati. Questi elementi sono fondamentali per evitare un disastro climatico.

CH: Lei sottolinea che l’argomentazione morale dietro l’azione per il clima è altrettanto forte di quella economica, perché il cambiamento climatico danneggia in maniera sproporzionata i più poveri. Ma l’azione per il clima ha anche implicazioni distributive. Come lei stesso riconosce, anche l’esiguo Green Premium per decarbonizzare l’intera rete elettrica americana potrebbe non essere alla portata delle famiglie a basso reddito, e i paesi in via di sviluppo si trovano in una posizione ancora più debole per poter avviare una simile trasformazione. Come si possono superare queste sfide? Il suo impegno volto a utilizzare altre tecnologie in contesti a basso reddito offre degli spunti in tal senso?

BG: Questo è un tema importantissimo. I paesi a basso e medio reddito utilizzeranno più energia nei decenni a venire man mano che usciranno dalla povertà. Dovremmo tutti auspicare che si tratti di energia pulita, ma essi si impegneranno a utilizzare un’energia di questo tipo solo se sarà a buon mercato come lo sono oggi i combustibili fossili.

Perciò, chi è un leader in un paese ricco dovrebbe chiedersi cosa sta facendo il suo governo o la sua azienda per rendere le tecnologie verdi accessibili a ogni parte del mondo – compresi i paesi a medio reddito e, col tempo, quelli a basso reddito. I maggiori investimenti in ricerca e sviluppo e in altre politiche devono puntare a quest’obiettivo. Molte delle aziende in cui sto investendo stanno mettendo a punto idee che potrebbero essere alla portata dei paesi a basso reddito.

CH: Lei è uno di quei business leader che ora riconoscono pubblicamente il ruolo cruciale del governo in qualunque grande impresa. Persino tra imprese di questa portata, il cambiamento climatico spicca in modo particolare. Affrontare la sfida richiederà un ruolo più incisivo del settore pubblico – in generale o in un’area particolare – rispetto a quello cui persino le voci più filogovernative sono abituate?

BG: La transizione verso l’energia pulita dovrà essere guidata in collaborazione dai governi e dal settore privato, proprio come avvenne con la rivoluzione del personal computer.

Essa implicherà un ruolo maggiore per il governo, ma solo perché tale ruolo finora è stato relativamente limitato. Prendiamo l’idea di quintuplicare gli investimenti in ricerca e sviluppo nell’ambito del settore pubblico cui abbiamo accennato prima. Tale incremento metterebbe la ricerca sull’energia pulita sullo stesso piano della ricerca sanitaria negli Usa. E proprio come abbiamo gli Istituti nazionali di sanità (NIH) preposti a supervisionare e coordinare quel tipo di lavoro, andrebbero creati Istituti nazionali per l’innovazione energetica (NIEI) per evitare duplicazioni e utilizzare al meglio queste risorse. Un Istituto per la decarbonizzazione dei trasporti sarebbe responsabile dello sviluppo di combustibili a basso tenore di carbonio. Altri istituti, poi, avrebbero simili responsabilità e autorità per fare ricerca nell’ambito dello stoccaggio dell’energia, delle fonti rinnovabili, e via dicendo.

Il NIEI sarebbe anche responsabile del coordinamento con il settore privato. L’obiettivo sarebbe quello di avere una ricerca che esca dai laboratori nazionali e che porti a sviluppare prodotti innovativi da immettere sul mercato su larga scala. Abbiamo bisogno di politiche che accelerino l’intera pipeline dell’innovazione, dalle prime fasi della ricerca fino alla distribuzione di massa.

CH: In un punto del libro lei scrive che “oltre a trovare modi per realizzare materiali con zero emissioni, possiamo semplicemente usare meno cose”. Qualcuno potrebbe ribattere che il capitalismo si basa sui consumi, che più elevati sono meglio è. Una vera soluzione alla crisi climatica dipende forse da una nuova visione del capitalismo per il ventunesimo secolo? E una nuova interpretazione più qualitativa della “crescita” potrebbe costituire il fondamento di un tale sistema?

BG: Penso che le persone che vivono nella parte ricca del mondo possano e debbano ridurre parte delle loro emissioni. (Come dico nel libro, io stesso sto adottando una serie di misure per tagliare e compensare le emissioni delle mie attività.) Ma l’impiego dell’energia nel mondo è destinato a raddoppiare entro il 2050, trainato da una crescita significativa nei paesi a basso e medio reddito. Tale crescita è positiva in quanto significa che le persone conducono una vita più sana e produttiva. Dobbiamo, tuttavia, fare in modo che ciò non renda ancora più arduo risolvere il problema del clima. Ecco perché c’è bisogno di un’innovazione che metta tutti gli abitanti del pianeta nella condizione di poter tagliare le emissioni.

CH: Lei scrive che il suo “libro parla di ciò che bisognerà fare per [evitare una catastrofe climatica] e perché penso che possiamo farlo”. Con la mano sul cuore, crede che saremo capaci di concertare la nostra azione in tempo utile?

BG: Sì. Come scrivo alla fine del libro, sono fondamentalmente un ottimista perché ho visto quello che la tecnologia riesce a fare, e ho visto quello che la gente riesce a fare. Dobbiamo dedicare il prossimo decennio a sviluppare le giuste strutture politiche, tecnologiche e di mercato in modo che gran parte del mondo possa raggiungere le zero emissioni entro il 2050. Non c’è tempo da perdere.

Traduzione di Federica Frasca

https://prosyn.org/LzsJdGfit