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Guernica è sempre con noi

PARIGI – Recentemente ho preso un volo da Parigi a Osaka. Lo schermo di bordo che mostrava la rotta del nostro aereo rifletteva lo stato del mondo nel 2024: l'aereo procedeva a zig-zag dalla Francia all'Austria, sorvolando la Romania, la Turchia, la Georgia, il Turkmenistan, il deserto del Gobi in Cina, per poi aggirare la Corea del Nord prima di fare una virata di 90° verso la nostra destinazione. Il volo ha accuratamente evitato le zone calde di guerra (Ucraina, Medio Oriente, Iran) e la Russia pesantemente sanzionata e ormai completamente alienata dall'Occidente. Stavamo sorvolando un mondo nel caos.

Il 2024 è stato un anno a tinte molto fosche. Giorno dopo giorno immagini di scuole bombardate, ospedali distrutti, donne urlanti disperate, proteste di massa e accampamenti di tende presso le università. Avendo trascorso gran parte dell'ultimo decennio facendo ricerche per il mio libro Picasso lo straniero, questo tumulto e questa devastazione mi hanno ricordato il monumentale capolavoro dell'artista, Guernica.

Nella primavera del 1937, la prima dall’inizio della guerra civile spagnola, Pablo Picasso trovò un linguaggio universale per denunciare un episodio estremo dell'escalation di orrore della modernità: la distruzione, in meno di quattro ore, di una cittadina della campagna basca in un assolato giorno di mercato. Facendo solennemente appello a fonti secolari e chiamando a raccolta tutti i riferimenti della sua prodigiosa erudizione letteraria, pittorica e religiosa, Picasso si mise al lavoro per creare un enorme tragico tableau. Ancora oggi              , quando ai rifugiati nei campi di transito viene chiesto di indicare un'opera d'arte importante, viene in mente Guernica.

Il compianto etnografo Michel Leiris ci aiuta a capire la potenza del quadro: "Il Vecchio Mondo si è suicidato... Nessuna parola può descrivere questa sintesi della nostra catastrofe... In un rettangolo in bianco e nero che risuona di un'antica tragedia, Picasso ci invia la nostra lettera di lutto: tutto ciò che amiamo sta per morire". La continua attualità di questo messaggio la dice lunga sullo stato del mondo. Siamo tutti consapevoli che potremmo vivere nelle ultime ore de Il mondo di ieri, il libro di memorie di Stefan Zweig sull'Europa sull'orlo della catastrofe, che iniziò a scrivere nel 1934 e inviò al suo editore poco prima di suicidarsi nel 1942.

Come si fa a parlare dell'anno appena trascorso, a quasi nove decenni da Guernica, quando tutti i confini dell'orrore sono stati polverizzati? Per mesi noi europei abbiamo atteso il verdetto delle elezioni presidenziali statunitensi, come se fosse un barometro della nostra vita quotidiana. La vittoria di Donald Trump, apparentemente impensabile, getterà ora un'ombra ancora più cupa su questo quadro già tetro? "Drill, baby, drill!" è il suo programma per il pianeta: al diavolo la scienza, il riscaldamento globale e il destino dei nostri nipoti.

Gli eroi se ne sono andati tutti

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Eccoci qui, sballottati dai venti politici contrari che spingono le persone a ritirarsi, assordati da slogan populisti che proclamano la grandezza dell'America rinnegando i suoi valori più profondi, e circondati da un numero sempre crescente di democrazie che virano a destra, rifiutando i nuovi arrivati, ignari del contributo di forza fornito dagli immigrati degli anni precedenti. Abbiamo forse dimenticato che Picasso era considerato un pericoloso "straniero" in Francia, un "nemico interno" nella Spagna di Franco e un "artista degenerato" nella Germania di Hitler? "Da Virgilio ad Agostino, dall'Eneide alle Confessioni, gli eroi delle nostre grandi storie sono uomini che fuggono", osserva lo storico Patrick Boucheron. "Sono i fuggitivi e i naufraghi che, come Enea che fugge dalla notte di Troia in fiamme e rovine, hanno inventato il mondo in cui viviamo oggi".

La tendenza politica globale, tuttavia, punta verso un ritorno alla legge della giungla. Non è forse la fine del diritto internazionale e del delicato quadro creato dopo il 1945? Come europei siamo fin troppo consapevoli che, a meno di un immediato salto di fede collettivo, il nostro continente rischia di diventare la prima vittima del nuovo ordine trumpiano.

Il mio giudizio sull'anno passato rimane il più cupo che io possa ricordare. Come ebrea algerina, la mia eredità culturale è ancorata alla cultura medievale di Al-Andalus, lentamente intrecciata nel corso di molti decenni in dialogo tra lingue sorelle, costruita su amicizie con libanesi, palestinesi e israeliani. Un’eredità è stata fatta a pezzi nella mostruosa guerra a Gaza e in Libano. I popoli arabo ed ebraico sono ora contrapposti nell'odio e nel fanatismo, ignorando tutti i tentativi di intervento internazionale.

Nel marzo 1987, durante una visita a Gaza, ho registrato: "Gaza City: 115mila abitanti... Striscia di Gaza: 650mila. In questo momento, 50mila persone in carcere... 300 chilometri quadrati... Dopo Hong Kong, la città più densamente popolata del mondo". Trentasette anni fa sentivo che il Medio Oriente era a un punto di svolta. Presto ci sarebbero stati gli accordi di Oslo, che infondevano speranza, riconoscendo la necessità di una soluzione a due Stati. Ma il 4 novembre 1995 l'assassinio di Yitzhak Rabin da parte di un estremista ebreo mandò in frantumi questo fragile progresso.

Da allora l'ascesa delle forze di destra e la colonizzazione incontrollata hanno reso il Medio Oriente un terreno fertile per il tipo di odio che Hamas, con il suo terribile attacco terroristico dello scorso anno, ha accuratamente alimentato. Il mondo che ho conosciuto, che ho costruito per me e che ho chiamato mio, non c'è più. Gli estremisti di entrambe le parti hanno ucciso il dialogo.

Quando arriva la pioggia

Anche il mondo fisico è stato devastato. Durante il mio viaggio in Giappone abbiamo dovuto affrontare il tifone Kong-rey. A Kyoto, la "città dei mille templi" imperiale, la gente ha atteso la tempesta con rassegnata saggezza.

Per due giorni abbiamo sperimentato una versione condensata dei modelli climatici dell'arcipelago: all'infido diluvio, con la sua pioggia pesante e gelida, sono seguite le più azzurre, pure, splendide e abbaglianti giornate di primavera. In quel lungo fine settimana di novembre gli ombrelli hanno lasciato il posto a eleganti ombrelloni intorno a templi e santuari. Ma in tutto il Giappone la minaccia di condizioni meteorologiche estreme è cresciuta a causa del riscaldamento globale e rimane una preoccupazione quotidiana. "Molte persone visitano questo santuario per il suo potere di protezione divina contro il fuoco e altre calamità", recita l'iscrizione sulla soglia del santuario shintoista di Misaki, sulla riva del fiume Takase.

Il tifone in Asia è stato preceduto pochi giorni prima da una gigantesca inondazione nella regione spagnola di Valencia, con villaggi a sud del fiume Turia spazzati via e un numero di vittime ancora indeterminato a distanza di settimane. L'elenco si è allungato di giorno in giorno e gli spagnoli hanno espresso la loro rabbia nei confronti del re spagnolo, del primo ministro e, soprattutto, di Carlos Mazón, il presidente del governo regionale scettico sui cambiamenti climatici. L'umanità si trova di fronte a un futuro di disastri naturali gravi e insostenibili, secondo le previsioni del Gruppo intergovernativo sui cambiamenti climatici. Eppure le cattive notizie continuano a pioverci addosso come mannaie.

Come vivere su un vulcano? Inesorabilmente l'Antropocene, l'epoca in cui le attività umane sono diventate una forza capace di rimodellare le condizioni del pianeta, è diventato il tema centrale, persino ossessivo, di molti intellettuali. "Abbiamo ignorato il pianeta, ma ci è tornato indietro sotto forma di crisi. Ci sono voluti gli scienziati per scoprire che tutto era collegato affinchè lo capissimo", avverte lo storico Dipesh Chakrabarty dell'Università di Chicago. "L'era del globale ha prodotto orgoglio; al contrario, il pianeta ci invita all'umiltà. È solo in questo mondo collassato e sempre più planetario che possiamo attualmente forgiare questo richiamo all'umiltà, che sebbene sia attualmente utopico resta a mio avviso assolutamente decisivo".

Le prove scientifiche sono inequivocabili, ma Trump e molti altri le negano. Con il risultato delle elezioni americane, "stabilizzare il riscaldamento al di sotto di 1,5° Celsius diventa probabilmente impossibile", conclude Michael Mann dell'Università della Pennsylvania. È "il colpo di grazia finale", aggiunge Rachel Cleetus dell'Union of Concerned Scientists. Alla fine del 2024, dove sono i politici pronti a limitare il riscaldamento globale causato dall'uomo? E dove sono quelli capaci di imporre le decisioni drastiche che ci proteggerebbero da una tragedia altrimenti inevitabile?

Invece di allinearsi al "tempo" planetario, l'evoluzione politica del mondo si è mossa nella direzione opposta, verso la lotta degli imperi. Come possiamo non vedere ciò che ci sta guardando in faccia? Sotto l'influenza del riscaldamento globale, le migrazioni di massa attuali e future diventeranno sempre più dure, pericolose e mortali.

Eppure, è nei momenti più bui che spesso nascono le idee più potenti. Nel mio caso, il viaggio a Kyoto mi ha permesso di guardare in modo diverso l'anno passato. Forse perché il dominio spirituale assume forme più calme e integrate rispetto ai mondi governati da idee monolitiche. Come non salutare il pacifico sincretismo degli edifici religiosi giapponesi, quale il Tempio Yoshiminedera, che incorpora un santuario shintoista splendidamente conservato con due statue di piccole volpi?

La coesistenza a lungo termine incarnata da Kyoto è stata costruita a partire dal VI secolo, quando la filosofia indiana arrivò dalla Cina e dalla Corea prima di fondersi con le credenze shintoiste. In passato il Giappone è stato segnato dalla violenza, con templi bruciati o vandalizzati, statue di Buddha gettate nei fiumi o usate come legna da ardere. La libertà di pratica religiosa è stata stabilita in Giappone solo gradualmente e sotto la pressione internazionale, a partire dalla Costituzione Meiji del 1889 che ha portato alla coabitazione pacifica di buddismo e shintoismo in cui elementi di ciascuna religione si sono integrati nelle pratiche dell'altro.

Testimoniare

Per il 2024 avevo inviato ai miei amici un messaggio di auguri per il nuovo anno con una foto dello sconvolgente mosaico della Cattedrale di Otranto del XII secolo, con l’intento che fosse serio e allegro allo stesso tempo: "È un mosaico medievale scoperto l'altro ieri in un territorio alla fine del mondo che porterà i nostri auguri in questo periodo di estrema turbolenza. È mozzafiato, labirintico e misterioso, con il suo albero della vita e gli animali che si uccidono a vicenda. Buon 2024!". Ora, un anno dopo, non ci sono più dubbi: il 2024 non ci ha portato molta felicità. Quando i politici si smarriscono, quando le istituzioni tacciono, quando il populismo si scatena, tocca ai singoli individui fare da guida. Così è stato nel 1937 per Guernica di Picasso.

Dobbiamo ricreare un dialogo aperto. Scrittori e artisti devono mobilitarsi. Ai suoi tempi, Jean-Paul Sartre e altri si alzarono e crearono il Tribunale Russell per i crimini di guerra. Come disse a un pubblico dell'università giapponese di Keio nell'autunno del 1966:

"L'intellettuale è infatti l'uomo che prende coscienza dell'opposizione, in sé e nella società, tra la ricerca della verità pratica e l'ideologia dominante... Prodotto di società lacerate, l'intellettuale ne è testimone perché ne ha interiorizzato la lacerazione... In questo senso, nessuna società può lamentarsi dei suoi intellettuali senza accusare se stessa, perché ha solo quelli che crea".

Eppure, la voce degli intellettuali è oggi quasi impercettibile. Impegno, libertà di parola, autonomia: sono questi i pilastri che garantiscono il potere degli artisti. Che con la loro visione ci mettono in guardia, anticipando gli sconvolgimenti del mondo, e poi rivelano, smascherano e condannano le tragedie in corso. È Guernica che ritorna sempre.

Ricordiamo Mark Rothko e la sua Rothko Chapel del 1971, un'opera d'arte visionaria ed ecumenica a Houston, in Texas, all'incrocio tra estetica, etica e politica. Oppure Empires, l'installazione di Huang Yong Ping al Grand Palais di Parigi, che si riferiva magnificamente al ritorno degli imperi in lotta rivendicando al contempo una singolarità cosmopolita.

E chi avrebbe scommesso su The Floating Piers, la visionaria installazione sul lago d'Iseo, inaugurata nel giugno 2016, sulla scia della crisi migratoria dell'anno precedente, da Christo, un bulgaro emigrato in Francia come rifugiato politico quasi 60 anni prima? Affermando la propria libertà, Christo ha proclamato l'onnipotenza dell'arte, offrendo a oltre un milione di visitatori un'esperienza di emancipazione, dalla quale nessuno è tornato indenne. L’effetto turbativo sullo spettatore della traversata tra le due sponde con le sensazioni di instabilità e vulnerabilità continuava a lungo dopo il ritorno sulla terraferma.

Infine, non dimentichiamo la potenza devastante di Untitled (tsunami tree) di Naoya Hatakeyama del 2018. La sua foto di un albero silenzioso, sminuzzato, amputato e martirizzato, testimone del disastro nucleare di Fukushima nell'ormai rinata regione dove l’artista è nato, cattura l'essenza dell'anno che abbiamo appena vissuto. Quali auspici artistici ci attendono nell'anno a venire?

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