FRANCOFORTE – Molti paesi registrano i più alti tassi di inflazione da decenni: 6,2% negli Stati Uniti, 4,2% nel Regno Unito, 5,2% in Germania e oltre il 4% nella zona euro. Alcuni osservatori insistono che si tratta di un fenomeno temporaneo; altri temono che dobbiamo prepararci ad un lungo periodo di significativi incrementi dei prezzi guidati da politiche monetarie espansive e dall’aumento del debito pubblico.
Tuttavia, entrambi gli schieramenti concordano sul fatto che almeno alcuni dei fattori all’origine della recente impennata inflazionistica presto diminuiranno o scompariranno. Nel 2020, i prezzi sono aumentati solo leggermente, e in alcuni casi sono addirittura diminuiti, stabilendo bassi valori di riferimento per gli incrementi su base annua nel 2021. Anche i prezzi in aumento per olio combustibile, gas, benzina e diesel sono generalmente considerati temporanei. Nel 2022 si può quindi prevedere un calo significativo dell’inflazione complessiva nella maggior parte dei paesi.
A lungo termine, tuttavia, dobbiamo adattarci ai prezzi più alti dei combustibili fossili per poter combattere il cambiamento climatico. Allo stesso modo, anche se in generale i picchi dei prezzi di materiali da costruzione, chip per computer e materie prime non dovrebbero persistere indefinitamente, non ci sono neppure grandi probabilità di trovare un sollievo duraturo.
Dopotutto, il problema è globale. Quando negli anni ’90 la Cina è entrata a pieno titolo nei mercati mondiali, la conseguente marea di beni a basso costo ha esercitato una pressione al ribasso non solo sui prezzi ma anche sui salari. I sindacati, preoccupati per la perdita di posti di lavoro, erano riluttanti a chiedere salari più alti. Ma ora queste pressioni si stanno allentando.
Sarebbe un errore pensare che la globalizzazione sia finita, ma il fatto è che l’integrazione economica internazionale ha rallentato, a causa della crisi del COVID-19, del protezionismo dell’amministrazione Trump, e del declino dell’offerta di lavoro cinese con l’invecchiamento della popolazione. Di conseguenza, è più probabile che l’economia globale eserciti una pressione inflazionistica più sostenuta rispetto al passato.
L’argomento secondo cui l’inflazione odierna è solo temporanea presuppone che la disoccupazione globale rimanga sostanziale, e che i sindacati siano deboli. In tal caso, non ci sarebbe motivo di aspettarsi che i salari aumenteranno in modo significativo, portando ad un innalzamento sostenuto dei prezzi.
At a time of escalating global turmoil, there is an urgent need for incisive, informed analysis of the issues and questions driving the news – just what PS has always provided.
Subscribe to Digital or Digital Plus now to secure your discount.
Subscribe Now
Ma potrebbe non essere così, perché l’economia globale si trova ad un punto di svolta: le condizioni potrebbero passare da deflazionistiche a complessivamente più inflazionistiche. A livello nazionale, i salari stanno aumentando a causa della carenza di manodopera in molti settori. La scarsità di camionisti nel Regno Unito, ad esempio, si è tradotta in offerte salariali notevolmente più elevate. Ovviamente, la crisi economica causata dalla pandemia non è paragonabile ad una normale recessione, quindi resta da vedere quanto tempo ci vorrà perché questi incrementi salariali settoriali si diffondano in tutto il sistema economico.
In ogni caso, è la politica monetaria che determina il corso dell’inflazione. A breve termine, le banche centrali non possono fare nulla per prevenire un’impennata dei prezzi causata da fattori quali l’aumento dei costi energetici, né dovrebbero tentare di farlo. Ciò che conta è che i cittadini e i mercati finanziari non perdano la fiducia nella determinazione delle banche centrali di stabilizzare l’inflazione (usualmente intorno al 2%) nel medio termine. Finora, l’inondazione di liquidità da parte dei mercati finanziari, in particolare attraverso massicci acquisti di obbligazioni, ha svolto un ruolo importante nell’aumento dei prezzi delle attività. Il pericolo ora è che questa inflazione dei prezzi, unita a una forte espansione dell’offerta di moneta, si diffonda ai prezzi al consumo, che risentono anche del forte aumento del debito pubblico.
La Federal Reserve statunitense e la Banca Centrale Europea (BCE) assumono costantemente che le aspettative inflazionistiche odierne siano saldamente ancorate al livello target del 2%, e la maggior parte delle aspettative di inflazione pubblicate per gli Stati Uniti e l’eurozona sembrano confermare questa opinione. Ma i massicci acquisti di obbligazioni di queste banche centrali stanno distorcendo le aspettative del mercato.
Gli investitori con maggiori aspettative di inflazione tendono a vendere le proprie obbligazioni alla banca centrale a prezzi che considerano elevati. Di conseguenza, questi “pessimisti dell’inflazione” sono assenti dai mercati finanziari, facendo leggere sul “termometro” delle aspettative di inflazione una temperatura più bassa di quella effettiva. In effetti, i commenti di cittadini, consumatori e dipendenti in molti paesi suggeriscono sempre più dubbi riguardo alla stabilità delle aspettative inflazionistiche al livello richiesto o desiderato dalle banche centrali.
Dato che l’inflazione è rimasta “fuori dai radar” per molti anni, non sorprende che le aspettative siano orientate al passato, quando l’aspettativa dominante era che la stabilità dei prezzi sarebbe continuata. La credibilità delle banche centrali ha svolto un ruolo decisivo nel sostenere questa visione. Ma tale credibilità può sempre essere messa in discussione. Dopo il previsto calo all’inizio del 2022, cosa accadrebbe se i tassi di inflazione dovessero aumentare di nuovo e poi rimanere al di sopra del livello del 2% per un lungo periodo? Le aspettative di inflazione potrebbero disancorarsi e spostarsi improvvisamente verso l’alto.
Questo rischio non è da sottovalutare, soprattutto quando il tema dell’inflazione è diventato saliente un po’ ovunque, indicando un netto cambiamento negli atteggiamenti dei cittadini. Per parafrasare l’ex vicepresidente della Fed Alan Blinder, l’inflazione si verifica quando le persone iniziano a parlare di inflazione.
In questo contesto, è anche importante esaminare le modifiche alla strategia di politica monetaria che la Fed e la BCE hanno apportato. Con il suo passaggio all’ “obiettivo medio d’inflazione”, la Fed punta ad un’inflazione superiore al 2% per compensare il mancato raggiungimento di tale obiettivo in passato. Tuttavia, nel nuovo contesto di crescente pressione inflazionistica, la credibilità della Fed potrebbe essere messa a dura prova.
Allo stesso modo, la BCE ha segnalato con la sua nuova strategia che adotterà una visione molto più rilassata riguardo ad un’inflazione che raggiunga livelli superiori al 2% rispetto a quanto fatto in passato. Ancora una volta, la credibilità acquisita in molti anni di lavoro orientati a fare tutto il necessario per preservare il valore della moneta comune potrebbe adesso essere rapidamente messa in discussione.
Il mondo sta attraversando un profondo cambiamento. Le banche centrali affrontano un elevato grado di incertezza per cui i loro modelli tradizionali potrebbero non essere più affidabili. Ma questo è un motivo in più per garantire che non vi siano dubbi sulla loro determinazione a difendere la stabilità della moneta. Continuare con ingenti acquisti di obbligazioni e la politica di fissazione dei prezzi per periodi prolungati attraverso la “forward guidance” è diventato meno appropriato che mai.
To have unlimited access to our content including in-depth commentaries, book reviews, exclusive interviews, PS OnPoint and PS The Big Picture, please subscribe
According to the incoming chair of US President Donald Trump’s Council of Economic Advisers, America runs large trade deficits and struggles to compete in manufacturing because foreign demand for US financial assets has made the dollar too strong. It’s an argument that manages to be both logically incoherent and historically wrong.
is unpersuaded by the argument made by presidential advisers for unilaterally restructuring global trade.
By launching new trade wars and ordering the creation of a Bitcoin reserve, Donald Trump is assuming that US trade partners will pay any price to maintain access to the American market. But if he is wrong about that, the dominance of the US dollar, and all the advantages it confers, could be lost indefinitely.
doubts the US administration can preserve the greenback’s status while pursuing its trade and crypto policies.
Diane Coyle
suggests ways to account for “free” digital services in economic frameworks, considers how to prevent the emergence of AI monopolies, warns that cutting funding for basic research is tantamount to destroying the US economy’s foundations, and more.
FRANCOFORTE – Molti paesi registrano i più alti tassi di inflazione da decenni: 6,2% negli Stati Uniti, 4,2% nel Regno Unito, 5,2% in Germania e oltre il 4% nella zona euro. Alcuni osservatori insistono che si tratta di un fenomeno temporaneo; altri temono che dobbiamo prepararci ad un lungo periodo di significativi incrementi dei prezzi guidati da politiche monetarie espansive e dall’aumento del debito pubblico.
Tuttavia, entrambi gli schieramenti concordano sul fatto che almeno alcuni dei fattori all’origine della recente impennata inflazionistica presto diminuiranno o scompariranno. Nel 2020, i prezzi sono aumentati solo leggermente, e in alcuni casi sono addirittura diminuiti, stabilendo bassi valori di riferimento per gli incrementi su base annua nel 2021. Anche i prezzi in aumento per olio combustibile, gas, benzina e diesel sono generalmente considerati temporanei. Nel 2022 si può quindi prevedere un calo significativo dell’inflazione complessiva nella maggior parte dei paesi.
A lungo termine, tuttavia, dobbiamo adattarci ai prezzi più alti dei combustibili fossili per poter combattere il cambiamento climatico. Allo stesso modo, anche se in generale i picchi dei prezzi di materiali da costruzione, chip per computer e materie prime non dovrebbero persistere indefinitamente, non ci sono neppure grandi probabilità di trovare un sollievo duraturo.
Dopotutto, il problema è globale. Quando negli anni ’90 la Cina è entrata a pieno titolo nei mercati mondiali, la conseguente marea di beni a basso costo ha esercitato una pressione al ribasso non solo sui prezzi ma anche sui salari. I sindacati, preoccupati per la perdita di posti di lavoro, erano riluttanti a chiedere salari più alti. Ma ora queste pressioni si stanno allentando.
Sarebbe un errore pensare che la globalizzazione sia finita, ma il fatto è che l’integrazione economica internazionale ha rallentato, a causa della crisi del COVID-19, del protezionismo dell’amministrazione Trump, e del declino dell’offerta di lavoro cinese con l’invecchiamento della popolazione. Di conseguenza, è più probabile che l’economia globale eserciti una pressione inflazionistica più sostenuta rispetto al passato.
L’argomento secondo cui l’inflazione odierna è solo temporanea presuppone che la disoccupazione globale rimanga sostanziale, e che i sindacati siano deboli. In tal caso, non ci sarebbe motivo di aspettarsi che i salari aumenteranno in modo significativo, portando ad un innalzamento sostenuto dei prezzi.
Winter Sale: Save 40% on a new PS subscription
At a time of escalating global turmoil, there is an urgent need for incisive, informed analysis of the issues and questions driving the news – just what PS has always provided.
Subscribe to Digital or Digital Plus now to secure your discount.
Subscribe Now
Ma potrebbe non essere così, perché l’economia globale si trova ad un punto di svolta: le condizioni potrebbero passare da deflazionistiche a complessivamente più inflazionistiche. A livello nazionale, i salari stanno aumentando a causa della carenza di manodopera in molti settori. La scarsità di camionisti nel Regno Unito, ad esempio, si è tradotta in offerte salariali notevolmente più elevate. Ovviamente, la crisi economica causata dalla pandemia non è paragonabile ad una normale recessione, quindi resta da vedere quanto tempo ci vorrà perché questi incrementi salariali settoriali si diffondano in tutto il sistema economico.
In ogni caso, è la politica monetaria che determina il corso dell’inflazione. A breve termine, le banche centrali non possono fare nulla per prevenire un’impennata dei prezzi causata da fattori quali l’aumento dei costi energetici, né dovrebbero tentare di farlo. Ciò che conta è che i cittadini e i mercati finanziari non perdano la fiducia nella determinazione delle banche centrali di stabilizzare l’inflazione (usualmente intorno al 2%) nel medio termine. Finora, l’inondazione di liquidità da parte dei mercati finanziari, in particolare attraverso massicci acquisti di obbligazioni, ha svolto un ruolo importante nell’aumento dei prezzi delle attività. Il pericolo ora è che questa inflazione dei prezzi, unita a una forte espansione dell’offerta di moneta, si diffonda ai prezzi al consumo, che risentono anche del forte aumento del debito pubblico.
La Federal Reserve statunitense e la Banca Centrale Europea (BCE) assumono costantemente che le aspettative inflazionistiche odierne siano saldamente ancorate al livello target del 2%, e la maggior parte delle aspettative di inflazione pubblicate per gli Stati Uniti e l’eurozona sembrano confermare questa opinione. Ma i massicci acquisti di obbligazioni di queste banche centrali stanno distorcendo le aspettative del mercato.
Gli investitori con maggiori aspettative di inflazione tendono a vendere le proprie obbligazioni alla banca centrale a prezzi che considerano elevati. Di conseguenza, questi “pessimisti dell’inflazione” sono assenti dai mercati finanziari, facendo leggere sul “termometro” delle aspettative di inflazione una temperatura più bassa di quella effettiva. In effetti, i commenti di cittadini, consumatori e dipendenti in molti paesi suggeriscono sempre più dubbi riguardo alla stabilità delle aspettative inflazionistiche al livello richiesto o desiderato dalle banche centrali.
Dato che l’inflazione è rimasta “fuori dai radar” per molti anni, non sorprende che le aspettative siano orientate al passato, quando l’aspettativa dominante era che la stabilità dei prezzi sarebbe continuata. La credibilità delle banche centrali ha svolto un ruolo decisivo nel sostenere questa visione. Ma tale credibilità può sempre essere messa in discussione. Dopo il previsto calo all’inizio del 2022, cosa accadrebbe se i tassi di inflazione dovessero aumentare di nuovo e poi rimanere al di sopra del livello del 2% per un lungo periodo? Le aspettative di inflazione potrebbero disancorarsi e spostarsi improvvisamente verso l’alto.
Questo rischio non è da sottovalutare, soprattutto quando il tema dell’inflazione è diventato saliente un po’ ovunque, indicando un netto cambiamento negli atteggiamenti dei cittadini. Per parafrasare l’ex vicepresidente della Fed Alan Blinder, l’inflazione si verifica quando le persone iniziano a parlare di inflazione.
In questo contesto, è anche importante esaminare le modifiche alla strategia di politica monetaria che la Fed e la BCE hanno apportato. Con il suo passaggio all’ “obiettivo medio d’inflazione”, la Fed punta ad un’inflazione superiore al 2% per compensare il mancato raggiungimento di tale obiettivo in passato. Tuttavia, nel nuovo contesto di crescente pressione inflazionistica, la credibilità della Fed potrebbe essere messa a dura prova.
Allo stesso modo, la BCE ha segnalato con la sua nuova strategia che adotterà una visione molto più rilassata riguardo ad un’inflazione che raggiunga livelli superiori al 2% rispetto a quanto fatto in passato. Ancora una volta, la credibilità acquisita in molti anni di lavoro orientati a fare tutto il necessario per preservare il valore della moneta comune potrebbe adesso essere rapidamente messa in discussione.
Il mondo sta attraversando un profondo cambiamento. Le banche centrali affrontano un elevato grado di incertezza per cui i loro modelli tradizionali potrebbero non essere più affidabili. Ma questo è un motivo in più per garantire che non vi siano dubbi sulla loro determinazione a difendere la stabilità della moneta. Continuare con ingenti acquisti di obbligazioni e la politica di fissazione dei prezzi per periodi prolungati attraverso la “forward guidance” è diventato meno appropriato che mai.