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La chiusura della mente cinese

WASHINGTON, DC – Lou Jiwei non sarà un nome celebre in occidente, ma l’ex ministro delle finanze cinese è un personaggio ben conosciuto e assai stimato tra i finanzieri e i responsabili delle politiche economiche. Eppure, all’inizio di questo mese, il governo cinese ha annunciato la sua rimozione dall’incarico di presidente del Fondo nazionale di previdenza sociale. Tale mossa riflette un cambiamento nell’approccio alla governance da parte della leadership cinese, che è destinato ad avere profonde implicazioni per il futuro del paese.   

Il licenziamento di Lou rappresenta un elemento di rottura rispetto alla tradizione precedente: i suoi tre predecessori sono rimasti in carica in media 4,5 anni, e sono tutti andati in pensione all’età di 69 anni. Il sessantottenne Lou, invece, ha ricoperto il ruolo per poco più di due anni soltanto. I leader cinesi non hanno fornito alcuna ragione per il suo licenziamento, ma una possibile spiegazione salta agli occhi: Lou si è recentemente distinto per aver criticato in modo esplicito l’ambiziosa agenda di politica industriale della Cina, Made in China 2025, definendola uno spreco di denaro pubblico.    

Made in China 2025 è un piano che ha già destato dei sospetti nei partner commerciali occidentali della Cina, cui appare come un tentativo di soppiantare l’Occidente nel ruolo di leader delle tecnologie più avanzate con mezzi sleali – nella fattispecie, il sostegno pubblico a settori strategici. Tale programma è stato uno dei fattori scatenanti la guerra commerciale del presidente americano Donald Trump contro la Cina.  

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